Bentornate Donne in questa rubrica dedicata ad intervistare Donne Straordinarie e a capire come riescono a fare ciò che fanno, senza avere poteri magici con le sole forze che hanno a disposizione: tenacia, voglia di vivere e coraggio.
Questa volta abbiamo incontrato Marilena Zacchini, educatrice professionale e analista del comportamento che svolge attività di formazione e supervisione nell’ambito dell’intervento psicoeducativo con persone con disturbo dello spettro autistico.

Esperta di Autismo e diplomata in Applied Behavior Analysis (Metodo A.B.A) e Modelli Contestualistici nei servizi per le disabilità.
Come sa bene chi legge il blog con assiduità da anni, al mio cuginetto è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico da quando aveva due anni.
Vi lascio in fondo al post alcuni articoli che ho già scritto in merito in diverse occasioni.
Ed ecco perché sono venuta in contatto con Marilena, donna realmente straordinaria che nel corso della sua carriera ha contribuito a creare modelli di servizi per le persone autistiche e a promuovere strumenti di valutazione.
Nell’ambito dell’autismo è fra le curatrici dell’edizione italiana del TTAP (Teacch Transition Assessment Profile), finalizzato alla valutazione delle abilità significative per il raggiungimento dell’autonomia in contesti di vita quotidiana da parte di soggetti con disturbi dello spettro autistico.
Inoltre, ha contribuito a dare impulso alla formazione di operatori, insegnanti, volontari e famiglie che quotidianamente lavorano a fianco di queste persone.
Ma c’è di più!

Ho cominciato ad occuparmi di autismo nel 1978. Vengo da una vecchia scuola.
Ai miei tempi se una persona voleva occuparsi, non solo di autismo, ma di qualsiasi disabilità, doveva prima avere un diploma e poi accedere a un corso specialistico.
C’era solo questo tipo di corso, lo si faceva all’Università Cattolica.
Quindi io ho preso il diploma e poi mi sono iscritta all’università Cattolica nel 1978.
Era un corso biennale con molte ore. Un corso meraviglioso che mi hai insegnato tantissime cose che ancora oggi mi porto dietro nel mio bagaglio.
Ho fatto i primi anni in una scuola speciale che si occupava di bambini che venivano definiti “disaritmici”.
Disaritmico è considerato il bambino epilettico ed era la scuola Pini che ancora oggi c’è.
Non è vero che non ci sono più le scuole speciali.
Ci sono ancora queste scuole e hanno addirittura la lista d’attesa perché i bambini che vorrebbero essere inseriti ci sono sempre stati e sono in aumento.
Perché questo?
Perché le scuole speciali giustamente sono state quasi tutte chiuse perché c’era voglia di integrazione.
I bambini sono tutti speciali e la scuola di tutti deve accogliere sia tutti questi bambini normotipici sia gli altri che hanno difficoltà.
In tutta Italia sono state chiuse queste scuole specifiche.
C’era la scuola per disaritmici, la scuola per i bambini che avevano problemi motori, la scuola per sordomuti e la scuola per ciechi.
E la cosa bellissima è che io ho fatto un tirocinio obbligata dal corso in tutte e quattro queste scuole e ho imparato un sacco di cose.
Per esempio ancora oggi molto materiale che io ho messo a punto per bambini con autismo arriva dalla scuola per ciechi.
Un esempio?
La scuola dove io ho lavorato, la Stefanardo di Vimercate che è ancora in viale Monza, era una scuola meravigliosa dove tutto era stato studiato, persino le scale.
Le scale che erano di colore grigio, con una bellissima riga gialla in mezzo in modo che anche chi aveva problemi di vista o problemi sensoriali di vista potesse vedere bene quali erano gli scalini e fino a quando durava la scala.
Gli scalini non avevano gli angoli troppo dritti, ma erano curvi, per fare in modo che ragazzi potessero scendere le scale con maggiore facilità (anche scendendole, per chi non sapeva ancora camminare, da seduti facendosi scivolare o a pancia in giù, senza farsi male).
Una scuola meravigliosa dove c’era il materiale Montessori, tutto in legno, e dove c’erano un sacco di soldi per le formazioni agli insegnanti.
Lì ho fatto corsi che non ho mai più visto nella mia vita e che ancora oggi sarebbero utilissimi a tutte le persone che fanno il mio lavoro.
Un esempio?
Come utilizzare il corpo per mandare dei messaggi, per avvicinarsi all’altra persona, per favorire il contatto con l’altra persona, come usare la voce, farla diventare uno strumento di lavoro, come usare lo sguardo…
Questo è l’approccio al bambino che oggi non insegnano più.
Altra cosa che reputo estremamente importante è la sensorialità.
Quando ho davanti un bambino molto piccolo una delle prime cose che colgo è vedere se accetta il mio tocco e, se non lo accetta, mi chiedo come fare per avvicinarmi.
Poi, appena riesco ad ottenere un contatto, la prima cosa che faccio è togliergli scarpe e calze per “giocare” con i suoi piedi!
Lo faccio ancora adesso che ho 67 anni!
Quando vedo un bambino piccolo non posso farne a meno perché so che lì posso stimolarlo, so che dalla pianta del piede stimolo tantissime parti interessanti del suo corpo. Inoltre i piedi sono anche la parte più lontana, quindi quella con cui si affida un po’ di più.
Come afferrare il piede di un bambino, come toccarlo, come scegliere un contatto, come utilizzare il suono come strumento per andare oltre il tocco… questo non lo insegnano più ed è un peccato!
Ecco perché io oggi mi sento molto un “animale in via d’estinzione” e mi spiace… ed è uno dei motivi per cui ancora al lavoro.
Adesso costruisco servizi perché non voglio togliere posti di lavoro… al contrario!
Voglio costruire posti di lavoro, anche se a me piacerebbe costruire ancora qualcosa che parli di gioco, che parli del contatto, che faccia vedere quanto importante sia la raccolta dei dati, l’evidenza scientifica, ma anche l’umanità, il contatto con l’altro.
Questi sono strumenti che bisogna ritrovare dentro di sé e che ti danno la conoscenza con te per fare questo lavoro.
Ecco un’altra cosa importante di cui nessuno parla.
Io vengo da una scuola che non ti chiedeva una laurea, ti chiedeva qualcosa di più: ti chiedeva un po’ te e dovevi davvero metterti in gioco.
Tornando poi alla sensorialità per l’autismo, ecco, se non avessi lavorato con i sordomuti, i ciechi, le persone con diversi gradi di cecità, con persone con disturbi psichici oltre che con l’autismo (quelli che oggi chiamiamo “disturbi del neurosviluppo”), quanto faticherei a capire la sensorialità!
Invece così mi è più semplice!
Altra cosa bizzarra di me è l’aver messo insieme alla mia formazione tante culture.
Oggi si parla di mindfulness e “comportamentismo di ultima generazione” ma per me si tratta di una formazione che ho fatto tanto tempo, solo che nessuno lo collegava al lavoro.
Questo fa sì che le altre persone mi vedano molto bizzarra, me ne rendo conto.
Ma non vedo nessun problema in questo.
Dall’altra parte prendiamo all’assertività, il “pensiero positivo”: è una cosa comportamentale.
Guai se io non l’avessi imparata nel privato!
Per me il “pensa positivo” fa parte della mia vita, è difficile che io mi disperi o che veda un problema senza soluzione, perché l’ho imparato professionalmente ma sarei stata pazza a non utilizzarlo nella mia vita privata!
Io mi alzo la mattina contenta e vado a letto abbastanza contenta perché so che se unisco professionalità e privato, la parola che mi riassume è “etica“.
Credo che questa parola debba essere insegnata, debba essere messa d’obbligo per chi fa il nostro lavoro.
L’etica è quella cosa che ti fa chiedere alla sera, quando vai a casa: “Ma vado a letto tranquilla oggi? Ho fatto il possibile?”
Poi non vuol dire che sono perfetta, non c’entra niente con la perfezione… c’entra con il rispetto e per me è molto importante.
Ecco per esempio perché come sport da 50 anni pratico arti marziali… perché l’arte marziale è una scuola di vita.
Ti insegna tantissimo: ti insegna cos’è la sofferenza, cos’è la fatica per arrivare all’obiettivo, ti insegna la differenza fra il male e il dolore, ti insegna che davvero a volte non c’è il limite nell’apprendimento…
L’altra cosa che mi ha aiutato molto è la mia malattia e ritengo che sia una fortuna incredibile… e credo che se le persone che hanno malattie dalla nascita fossero intervistate avremmo dei dati straordinari sulla resilienza.
La vera resilienza ce l’hanno le persone croniche perché la malattia scombussola la tua vita, però ti fa un dono meraviglioso.
E’ come avere un cannocchiale da cui tu vedi la vita diversa.
Io mi ricordo gli anni in cui ero molto arrabbiata per questa cosa e gli anni in poi in cui ho capito davvero che regalo mi era stato dato.
Perché ogni giorno te la giochi e quindi ogni giorno ti accorgi che vedi cose che non avevi visto fino al giorno prima.
E la vita è una continua meraviglia.
Quindi io mi reputo di una fortuna pazzesca, davvero!
Altre cose le ho imparate invece dalle persone.
Io ho avuto come insegnante e maestro Enrico Micheli e una delle cose che mi ha insegnato è:
“Oltre che studiare per la professione, se devi scegliere qualcosa da imparare, scegli qualcosa che ti insegni come lavorare meglio, ma anche stare meglio con te”
Infatti io non sono mai riuscita a separare professionalità e privato, per me è follia!
Quindi io la mindfulness l’ho imparata per me, per stare meglio con gli altri, così come la motricità, lo sport…
Ecco un’altra parte di me: l’assertività.
L’ho imparata tanti anni fa ma l’ho imparata anche per me, non solo per il lavoro.
Oggi invece le persone che si affacciano a questo mondo fanno fatica a mettere insieme il tutto, perché le cose che si imparano per professionalità le usi solo nel lavoro.
Allora mi chiedo: perché non spiegano che ti servono anche nella vita?
Questo mi ha insegnato molto per guardare avanti.
Una cosa buffa, per esempio, è che vengo spesso chiamata da genitori ma magari anche da direttori di cooperative. E quando chiedo loro perché si rivolgono a me, mi dicono: “Per avere delle idee.”
Sembrerà buffo ma riesco a vedere come cogliere le cose che succedono normalmente come un dono e un’opportunità. E il bello è che le so sfruttare per gli altri che non le vendono.
Io non ho più privato e professionale, per me è normale che sia così.
All’inizio ho fatto fatica a spiegarlo alla mia famiglia è stato molto difficile.
Mi ricordo di aver spiegato a mia figlia che ha una mamma bizzarra. A 4 anni le ho detto:
“Hai una mamma bizzarra, non so se è una fortuna o una sfortuna… è un po’ difficile, lo so… però la tua mamma quando arriva a casa ha bisogno di un po’ di tempo per staccare. Mi bastano pochi minuti… magari tu mi corri incontro e io non riesco proprio a sorriderti subito, ho bisogno di un attimo di tempo…”
E ancora oggi mia figlia si porta dietro questa cosa, ma se la porta con gioia.
Adesso ha 34 anni, è già mamma di due bambini e mi dice:
“Mamma, ogni tanto faccio così anche se non faccio il tuo lavoro, però sono tranquilla perché so che non significa non volere bene ai bambini. Si tratta di avere un minuto di “sospensione”.
Poi, sempre parlando del mio maestro Enrico, un giorno mi chiede di lavorare, non solo con i bambini, ma anche per gli adulti.
La mia risposta è stata: “Ma perché mi fai lavorare doppio? Perché devo andare a prendermi anche questo impegno?”
Sapete cosa mi ha risposto lui?
“Tu non imparerai mai a lavorare bene coi bambini perché non sei mai andata a lavorare con gli adulti, quindi come fai a immaginarti che adulto potrebbe diventare il bambino che adesso hai davanti?”
E’ stato così che io e le mie colleghe abbiamo iniziato a lavorare con i grandi.
Cavolo se è stato importante! Abbiamo capito!
Perché se io oggi sono forte nella mia richiesta col bambino piccolo, nel chiedergli per esempio di stare seduto, so che questo inciderà tantissimo nella sua vita da adulto, se vorrà avere un lavoro sicuro, andare a scuola, stare seduto…
Quindi oggi chiedo con maggiore forza e decisione qualcosa di cui prima mi sfuggiva l’importanza.
Lavorare oggi da bambini piccolissimi ad adulti, ha cambiato la mia vita professionale… ti cambia lo sguardo, riesci a vedere lontano.
Ecco perché oggi riesco a prevedere i servizi, a capire dove servono, a chiedere con forza degli interventi, a lavorare anche con persone diverse.
Vedere la crescita delle persone più adulte, capire l’importanza del vivere con i valori, che cos’è la qualità di vita è altrettanto importante che lavorare con un bambino piccolo che ha ancora tutta la vita da affrontare.
Allo stesso modo seguire una famiglia che ha bambini adolescenti o adulti è un mondo… le famiglie sono un po’ diventate la mia famiglia allargata.
Così come lo sono diventate le persone con cui lavoro.
Quando io lavoro, so che io non valgo niente se non ho una squadra di persone.
Quindi per me c’è valore nella squadra perché è quello che manda avanti un servizio
Però riesco a vedere anche ogni singola persona che compone la squadra… io le vedo, davvero…
Non so come dire, io voglio bene a tutte e quando mi affidano un servizio io mi curo dell’equipe perché questo è troppo importante.
L’equipe è la spina dorsale del servizio e il mio grande dispiacere oggi è che le persone che hanno la mia formazione di educatore sono sottostimate, sono viste come l’ultimo scalino di una scala importante.
Una cosa che dico sempre quando faccio formazione alle mie colleghe è:
Ricordatevi che voi siete come le api operaie: senza di voi l’universo non ci potrebbe essere, l’universo dell’educazione di chi lavora con le persone con Alzheimer, di chi lavora con i bambini, di chi lavora nelle scuole, di chi lavora con le persone con difficoltà… niente potrebbe esistere. Tutte voi avete una grande importanza: l’importanza delle api.
E in queste squadre tutte le persone sedute attorno al tavolo valgono 1 , nessuno vale 0,5 o 3 : dal volontario che guida l’auto per il trasporto, al volontario che magari li segue nello sport, al mio collega, al neuropsichiatra, al referente di un servizio, alla sua mamma e suo papà, ai suoi nonni, alla oss che lo segue nella scuola, all’educatore del territorio… non c’è nessuno che vale più di qualcun altro.
Tutti abbiamo un’importanza strategica nella vita di quella persona, quindi tutti contiamo 1 e tutti dobbiamo essere intorno a quel tavolo.
Questo per me è fondamentale.
A questo proposito, vorrei fare una riflessione con i giovani d’oggi, i ragazzi, gli uomini.
Perché non ci sono più uomini che si interessano al sociale? Perché non ci sono più educatori che a noi servono? Perché non ci sono più uomini che vogliono fare questo lavoro che è una meraviglia?
Sapete perché non ci sono figure maschili?
Perché guadagnano poco, perché l’uomo ha bisogno ancora questo ruolo, quello di chi ancora oggi mantiene la famiglia… invece no!
Dobbiamo essere persone pagate per quello che meritiamo!
Chi si occupa del sociale ha diritto di essere pagato perché fa un lavoro che spesso è molto più ampio di quello che fa, occupa più ore, ti porta via “parte della vita”, parte di te…
Come ho detto prima, è difficile avere una barriera …che poi non serve davvero questa barriera.
Però è vero che questo lavoro ti occupa gran parte della vita, se vuoi essere una di quelle persone che continuano a studiare, che continuano a crescere per far crescere.
E’ questo il ruolo di educatore, sia negli asili che nelle scuole dell’infanzia.
E’ un ruolo che va scomparendo ed è un vero peccato perché serve.
L’altro dispiacere è che le persone vengono sottostimate mentre invece fanno un lavoro di grande valore.
Ciò non toglie che questo non sia un lavoro impegnativo.
Ecco perché è fondamentale scoprire che cosa mantiene la motivazione alta.
Dov’è la benzina che dai al tuo motore? Dov’è la benzina?
Secondo me la benzina di questo lavoro è che ha a che fare con il cuore.
E’ il bambino, l’adolescente, l’adulto di cui ti occupi che ti dà la forza per rinnovarti.
E’ la prima cosa più importante di questo lavoro.
La seconda è il rinnovamento.
Come rinascere ogni volta, mettersi a nudo per il bambino che incontri, per l’adolescente che incontri, per l’adulto che incontri, che ti obbliga a cancellare la lavagna del bambino prima, dell’adulto che hai visto prima e ti fa vedere quello che hai davanti.
Il mettersi a nudo vuol dire rinascere per aiutare un’altra persona crescere.
Secondo me questo è impagabile.
E’ un motore per cui ogni giorno, ritrovarmi davanti ad un bambino o un adulto, è una meraviglia della vita.
Cosa dicono di lei
Questa volta però, oltre a fare parlare lei, ho voluto chiedere a chi è entrato in contatto con Marilena che cosa lei ha lasciato e perché chi la conosce non può che essere d’accordo sul fatto che questa rubrica sia il luogo più adatto dove parlare di lei.



Come i granelli di una sabbia grossolana in riva al mare.
Ognuno simile, ma ognuno ha un colore diverso, dato dalla roccia dal quale proviene.
Donna speciale, Marilena Zacchini, perché Donna in ogni aspetto della propria vita, in ogni direzione umana, con la consapevolezza di saper donare tutto, riconoscente della fortuna di essere nata Donna!… parole dal cuore di un piccolo uomo.”
Simone Pegorini, papà di Giulio
I suoi progetti
- Ex-Coordinatrice Ambulatorio minori di Spinadesco https://www.
fondazionesospiro.it/ ambulatorio-di-spinadesco-da- 10-anni-al-servizio-dei- bambini
- Progetto 0-30 Passi da Gigante https://www.
fondazionesospiro.it/ presentazione-progetto-0-30- passi-da-gigante
- Ideatrice del progetto Bookbox https://www.bookbox.
it/
- Partecipazione alla realizzazione mostra itinerante “L’arte risveglia l’anima”: progetto di accessibilità ai musei con l’obiettivo di contribuire a sensibilizzare la società e a modificare l’atteggiamento nei confronti delle persone con disturbi dello spettro autistico, valorizzandone le potenzialità creative https://www.larterisveglialanima.it/
Che altro aggiungere?
Ecco una piccola “chicca” 😉
Quando mia mamma le ha chiesto se volesse essere intervistata per D di Donna ha risposto così:
Sono Scilla Garavelli e ho avuto Marilena come docente quando mi sono specializzata nel Programma TEACCH (1999). Una donna straordinaria , che mi ha trasmesso passione e voglia di fare con tutti i miei bimbi e alunni speciali!!! Insegnò fa 39 anni e non ho alcuna voglia di andare in pensione… Sento sempre il bisogno di dedicare la mia passione e professionalità a bimbi,ragazzi e famiglie speciali!!
Mi arrabbio sempre tanto quando mi chiedono perché non insegnò a tutta una classe…La mia risposta è sempre la stessa : io sono nata per fare questo lavoro, insegnante di sostegno a bimbi speciali con autismo e disabilità complesse. Punto. Sarebbe come chiedere ad un medico di fare l’ avvocato…Come sarebbe possibile ??
La tua etica, come la chiama anche Marilena, si perpecipisce dalle tue parole… Voi che vi dedicate al prossimo, soprattutto se con difficoltà, siete anime speciali… ❤ Grazie per averci scritto!