Buongiorno e buon lunedì! Oggi ritorno sulla mia poltrona e vi parlo di un testo forse poco conosciuto scritto da uno dei maggiori scrittori del novecento: Franz Kafka. Il libro si chiama LETTERA AL PADRE.Direte voi: un po’ un pacco Eppure non è affatto così! Sarà perché a me interessava leggerlo e quindi l’ho trovato davvero interessante… non so… so solo che oggi ve lo consiglio perché mostra una visone del rapporto non solo genitore figlio, ma anche dell’intera umanità.
Questo testo rappresenta interamente una lettera che Franz Kafka scrive al padre Hermann e con il quale non è mai riuscito ad avere un rapporto. Pagina dopo pagina elenca una serie di eventi o di circostanze e riesce a metterne a fuoco la loro difficoltà di trovare un punto di incontro. Hermann uomo duro ed orgoglioso, che ha fatto strada solo grazie alle sue forze e alla sua caparbietà e crudeltà, si scontra con la sensibilità e di un figlio che inizialmente lo vede come guida ed esempio e poi invece ne prende le distanze consapevole che accanto a lui avrebbe finito per annegare nel dolore. Non c’è nessuna accusa nel racconto, niente che possa far trasparire questo aspetto. Kafka voleva semplicemente chiarire le difficoltà di comunicazione e di intesa che da sempre erano montagne insormontabili da tra lui ed il padre. Fin dall’inizio del la lettura, una routine all’interno della casa Kafka mi ha fatto molto pensare: “Non era consentito rosicchiare le ossa, ma tu lo facevi, non era consentito sorbire l’aceto, ma tu potevi farlo. La cosa più importante era affettare il pane dritto, che tu però lo facessi con un coltello gocciolante di sugo era indifferente. Bisognava far attenzione a non far cadere sul pavimento avanzi di cibo, ma sotto il tuo posto ce n’erano più che altrove. A tavola si poteva pensare solo a mangiare, tu però ti pulivi e ti tagliavi le unghie, temperavi le matite, ti pulivi le orecchie con uno stuzzicadenti.” In queste righe Kafka mette chiaramente in luce un aspetto dell’educazione: parola e fatti devono andare nella stessa direzione. In questo specifico caso lo scrittore voleva spiegare al padre il perché lui si trovava spiazzato davanti ai suoi insegnamenti, che non risultano assurdi, tutt’altro, ma in primis da chi li impone non vengono messi in pratica. Non accade questa cosa spesso anche a noi?? “non si dicono le parolacce” e poi magari usiamo per primi un intercalare non elegantissimo! per dirne una, sono certa che voi ne troverete molti altri. Questa difficoltà di costruire un rapporto di cui parla Kafka, lo possiamo ritrovare non solo nel rapporto genitore – figlio, come detto all’inizio, anche nei rapporti con la società. La mancanza di comunicazione, di empatia e di gentilezza sono alla base di questa grande problematica che vede ciascuno di noi schierato dietro il proprio muro che nessuno riesce a smantellare.E’ un problema assai grande e credo che sia cresciuto negli anni e che continuerà a crescere. Comunque, tornando al nostro libro di oggi, in LETTERA AL PADRE, Kafka appunto non ne fa una colpa al padre, semplicemente mostra anche la propria non colpa di fronte ad avvenimenti che lui, per la sua natura assai diversa talvolta opposta al padre, ha inteso ed interpretato in modo diverso da lui. E’ un libro che apre un po’ la mente e ci mostra che non tutto è come lo vediamo noi. Lo sappiamo e ne siamo consapevoli ma spesso non ci pensiamo e additiamo chi non vive il mondo alla nostra maniera. Un po’ di empatia e di tolleranza verso personalità diverse dalla nostra non guasterebbe e probabilmente ci aiuterebbe a vivere giornate più serene. Vi lascio così, sperando che LETTERA AL PADRE, possa presto arrivare anche sui vostri comodini! Ne varrebbe la pena! Buon Lunedì!Barbara