In un testo che scrissi qualche anno fa “Un senso alla sofferenza” (Ed. Kappa), affrontai un tema che segue il filo conduttore degli articoli precedenti: l’ascolto attivo.
Il filosofo greco Zenone (V sec. A.C.) diceva che “l’uomo ha due orecchie e una sola bocca, per ascoltare di più e parlare di meno”.
Fin dai tempi antichi si attribuiva all’ascolto una valenza educativa di primaria importanza. Il bambino impara prima a parlare poi a scrivere, quindi il linguaggio umano è nato come linguaggio orale. Esiste una stretta reciprocità tra parola e ascolto e chi parla non deve mai dimenticare di ascoltare, preferibilmente in modo disponibile e interessato, perché questo viene definito “ascolto attivo”, in quanto “partecipato”. Un’indagine di qualche anno fa riportata dall’Osservatorio sui Diritti dei Minori ci riferisce che i genitori italiani dedicano 18 minuti al giorno al dialogo con i loro figli, meno degli altri paesi Europei. Ricerche della Società Italiana di Pediatria rilevano che l’ascolto ha un atteggiamento di tipo passivo perché circa l’86% del tempo libero dei bambini è dedicato alla televisione e che trascorrono in media davanti alla TV, tre ore giornaliere (spesso essi mangiano o si addormentano guardandola).
Un modello molto efficace per comprendere la differenza fra ascolto passivo e ascolto attivo è offerto dalla comunicazione interculturale, in cui “uno stesso comportamento’” può avere significati antitetici e al tempo stesso assolutamente legittimi a seconda del contesto culturale in cui è inserito. Per esempio, il “non guardare negli occhi una persona autorevole” in un contesto culturale può essere segno di rispetto, mentre in un altro, segno di mancanza di rispetto.
L’abilità dell’ascolto è condizione necessaria per poter iniziare ogni tipo di interazione, inizia con l’attenzione e l’interesse verso l’Altro e culmina con la fiducia.
Il mondo della comunicazione verbale, paraverbale e non verbale (fatto di parole, gesti, tonalità, ritmi, posture corporali) portato in auge grazie a diverse serie televisive americane, ci permette, di interagire per arrivare a scambiare e condividere dei significati profondi anche di ciò che si esprime solo con il silenzio.
Riassumo per praticità quattro tipi di ascolto:
1. Ascolto passivo: ascolto inefficace che si usa quando non si pone attenzione al contenuto espresso, conseguentemente le parole dette vengono dimenticate facilmente. Pensate a quando parlate col vostro Partner mentre guarda, rapito, una partita di calcio…
2. Ascolto selettivo: quando si filtra da ciò che si ascolta solo quello che si vuole sentire e che ci interessa.
3. Ascolto riflessivo: viene utilizzato per chiarire quanto viene detto. L’ascoltatore riflette, come uno specchio le idee dell’interlocutore perché nell’ascolto riflessivo, chi ascolta è una cassa di risonanza di chi parla. La tendenza è quella a ripetere il contenuto del messaggio comunicativo.
4. Ascolto attivo: è fondamentale per la raccolta delle informazioni e si presta molta attenzione ai segnali di feedback, cioè i cenni con la testa, ad esempio, oppure la reciprocità dello sguardo.
Quando ascoltiamo una Persona sarebbe opportuno tenere presente alcuni elementi:
– il contesto in cui la persona vive, perché ci svela il significato emotivo della sua narrazione;
– considerare l’insieme della Comunicazione Non Verbale che ha una valenza molto più alta della parola in sé per sé (pensate semplicemente al tono di voce, una stessa cosa assume significati molto diversi già soltanto con la modulazione del tono);
– consapevolezza del proprio messaggio (cioè: io cosa voglio trasmettere?);
– autoascolto delle proprie emozioni mentre ascoltiamo l’Altro (quella che spesso viene definita “empatia”).
In linea generale “ascoltare”, ma ascoltare veramente non è semplice: necessita di un coinvolgimento in prima persona molto profondo ed autentico. Vorrei lasciarvi oggi con alcuni suggerimenti da applicare subito nella comunicazione col Vostro Partner.
Quando parlate con Lui/Lei è fondamentale non esprimere “giudizi”, generalmente chi si sfoga per parlare, vuole semplicemente un “porto sicuro”, non un “posto di controllo” che procede col terzo grado.
• Evitate di dare giudizi (es. hai fatto bene/male, io avrei fatto…);
• non abbiate fretta di intervenire e non anticipare le risposte dell’Altro;
• mostrate comprensione;
• siate sicuri di aver ben compreso (es. ripetere il concetto con altre parole);
Vi lascio con un’ultima riflessione…non è un caso si dica “non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire”. La comunicazione, l’ascolto attivo e l’empatia hanno un comune denominatore che definisco “atto di volontà”, ovvero, quanto ho voglia di ascoltare? Quanto mi interessa comprendere?
Pensate un momento a quante volte incontrando una Persona, alla frase “come stai?”, appena iniziate a rispondere e per caso lo fate raccontando qualche malessere, dall’altra parte generalmente si trova qualcuno che ha un “malessere più grande” e che interrompe con “sapessi io”…
Ascoltare vuol dire lasciare, anche se per poco tempo, il proprio Io. Non è semplice, ma se si facesse, moltissime incomprensioni sarebbero evitate.
Buona settimana Lettrici, a presto.
ASCOLTARE DI PIÙ…
