Vi capita di sentirvi impotenti davanti alla rabbia dei vostri figli?…di avere timore di sbagliare o essere poco adeguate nel gestirli in quel momento? Oggi parliamo proprio della rabbia infantile, un’emozione che poco si discosta da quella adulta in termini di sensazione psico fisica, ma che cambia (voglio ben sperare) nella modalità con la quale viene esternata e affrontata.
Mi avete più volta sentita dire che la rabbia è innata, ovvero è un’emozione atavica presente in tutti gli esseri viventi, di qualsiasi età: anche il vagito del neonato altro non è che una espressione di “rabbia”, per comunicare alla propria madre il senso di fame o la necessità di essere cambiato. Una prima puntualizzazione di rito: la rabbia è diversa dall’aggressività, la prima è variabile, momentanea e transitoria, la seconda è un tratto più persistente che a volte denota proprio modalità caratteriali.
Il tutto diventa un po’ più complicato quando la rabbia infantile in qualche modo va “gestita”, che non è un termine a mio avviso particolarmente appropriato, ma rende l’idea. La modalità con la quale il genitore o il caregiver (figura adulto che “si prende cura abitualmente del bambino) affrontano la rabbia dei bambini può essere un’esperienza decisamente frustrante, poiché può generare disagio e/o stanchezza. Nell’immaginario collettivo un bambino arrabbiato equivale ad un bambino “cattivo”, elemento che culturalmente ci ha portati ad avere una visione della rabbia poco positiva. Proprio per questo quando la relazione adulto-bambino diventa conflittuale, sia essa di natura episodica o frequente, la difficoltà maggiore per l’adulto è (paradossalmente) “gestire” la propria rabbia. E’ come se nel diverbio, sia un capriccio per un giocattolo, o per il rifiuto di un cibo preparato, la rabbia diventasse contagiosa: spesso l’adulto perde la pazienza. C’è da dire che i bambini sanno essere a volte ripetitivi all’estremo, ma molto dipende dall’atmosfera in cui vivono e dal tipo di relazione alla quale sono abituati in termini educativi. Il primo passo è abbandonare la convinzione che la rabbia equivalga alla cattiveria, perché questo assunto spesso è quello che genera un deleterio senso di colpa nel bambino.
La rabbia può essere costruttiva se canalizzata ed espressa in modalità contenuta, affinché possa portare alla risoluzione del conflitto. Vi ricordate le famose 3 R??? Ecco, vanno fortemente riportate a questa dinamica. Il Rispetto, fondamentale, deve essere reciproco: in una relazione che di per sé è asimmetrica (adulto=grande, bambino=piccolo) il Rispetto deriva dal non agire una violenza fisica che vedrebbe fortemente svantaggiato il bimbo. L’adulto ha il dovere di cercare di comprendere cosa, come e perché il bambino è giunto a manifestare violentemente il suo pensiero, pertanto è fondamentale che si metta per primo in gioco. La rabbia può essere generata dal dolore di un il fallimento, ad esempio non riuscire a scrivere o leggere una parola e venire preso in giro, a volte anche dal genitore, che erroneamente tende a ridere o ancora peggio a fare paragoni con eventuali altri fratelli. Altre motivazioni vanno ricercate nel rifiuto, nella solitudine che non sempre i più piccoli riescono ad esprimere. A tal proposito vorrei aprire una parentesi un po’ più lunga del solito: un bambino che in casa è nella stessa stanza con un genitore o entrambi, ma lasciato alla tv, ai giochi o ai compiti, mentre gli adulti sono presi dai loro cellulari, vive un tempo di “solitudine”. La presenza fisica non assicura la qualità del rapporto, anzi, davanti ad una presenza/assenza, il bambino è ancora più frustrato perché si sente “meno importante” della qualsiasi diavoleria il genitore stia facendo.
Nella gestione della rabbia infantile, le nostre azioni dovrebbero avere come obiettivo il contenimento e la comprensione, non la punizione. L’adulto dovrebbe capire i sentimenti del bambino insegnando modalità espressive più sane e funzionali. Non è solo spiegando o raccontando che il bambino può comprendere una via alternativa, ma è con l’esempio reale che portiamo in casa che può apprendere modi diversi di reagire. Esempio: durante una discussione più o meno animata con il Vostro partner, quanto vi fa piacere che lui dica “stai calma, non urlare”, oppure che lui gridi più di voi? Molto poco, credo davvero molto poco. Lo stesso dicasi coi bimbi: ad un bambino che piange è inutile gridare “smettila di piangere”…o ancor peggio, reprimerlo con la minaccia di uno schiaffo…
Dottoressa Glò